Nelle ultime settimane alcune donne che si sono rivolte al pronto soccorso o alle forze dell’ordine per aver subito violenza hanno riferito alle operatrici di alcuni centri antiviolenza D.i.Re di sentirsi spaventate per essere state spinte a denunciare il loro aggressore.

“Nei casi di emergenza, ovvero quando le donne chiedono l’intervento delle forze dell’ordine o si recano in pronto soccorso per farsi medicare lesioni o contusioni, non si deve mai dimenticare che la donna deve essere al centro dei percorsi, non una pedina da muovere per rispondere solo all’esigenza di perseguire il reato”, afferma Nadia Somma, consigliera D.i.Re dell’Emilia Romagna.

“In tempi di Covid-19 si assiste a un interventismo che non tiene conto dei vissuti delle donne che vanno messe al riparo dalla violenza allontanando i violenti oppure ospitandole in luoghi sicuri”, spiega Somma. “Fare pressione perché denuncino il proprio compagno senza lasciare il tempo della riflessione, come spesso accade, o convocarle a deporre poche ore dopo la violenza, magari dopo una notte in bianco, significa non lasciare loro nemmeno il tempo per riposare e tirare il fiato”.

“I termini per una querela sono di 3/6 mesi o anche un anno”, ricorda l’avvocata penalista Elena Biaggioni, referente del Gruppo avvocate di D.i.Re. “Anche la Procuratrice aggiunta di Bologna Lucia Russo, nelle linee guida sull’applicazione del Codice rosso, suggerisce che quando la donna non è sicura, è meglio darle tempo e metterla in contatto con i centri antiviolenza”.

“Le donne in queste situazioni non si sentono affatto sostenute dalle istituzioni, ma intimidite e incalzate a seguire un percorso giudiziario con l’ansia di non capire cosa sta succedendo o succederà”, prosegue Somma. “La pressione a denunciare per forza fa ripiombare le donne nel vissuto tipico della violenza, ovvero di essere espropriate della propria libertà di scelta”.

“Non stupiamoci se poi ritirano le querele o se non vanno più al pronto soccorso perché ogni accesso per violenza viene segnalato alla Questura”, sottolinea Biaggioni. “O se, paradossalmente, si ritirano dai percorsi di fuoriuscita dalla violenza e assumono atteggiamenti protettivi verso il partner dicendoci: ‘non gli voglio far del male’”, racconta Somma.

Diversamente da quanto disposto dalla Circolare su ‘Violenza di genere e domestica del Capo della Polizia Franco Gabrielli, pubblicata il 27 marzo scorso, che invita Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia di Stato a “rendere ancora più stretto il contatto degli Uffici e dei Reparti periferici con i centri antiviolenza e le case rifugio operativi sul territorio che costituiscono i più importanti recettori delle manifestazioni del disagio in questione”, in molti casi “le forze dell’ordine non contattano ancora immediatamente i centri antiviolenza”, aggiunge Somma.

“Il processo di fuoriuscita dalla violenza è un percorso che non può essere intrapreso senza la scelta consapevole della donna, scelta che le operatrici dei centri antiviolenza accompagnano e supportano in ogni momento, e che si consolida proprio nella relazione con le operatrici. Senza tutto questo, la donna sarà di nuovo sola, proprio come lo era prima, di fronte a rischi che possono anche aumentare”, ribadisce Somma.

“Ben vengano le app delle forze dell’ordine e l’impegno istituzionale del 1522 sempre utile in momenti così difficili”, commenta Antonella Veltri, presidente della rete nazionale dei centri antiviolenza D.i.Re. “Siamo sempre più convinte della natura non emergenziale della violenza maschile alle donne. Ancor di più in questo tempo in cui alla paura e al disorientamento della violenza nelle case si aggiunge quello della pandemia”.

“Continuiamo a vivere un paradosso: le donne o sono spinte alla denuncia o non sono credute quando lo fanno. E comunque sempre senza tener conto della loro volontà”, afferma Veltri. “Per questo, sulla base di esperienza e competenza acquisita accogliendo le donne sopravvissute alla violenza da oltre 30 anni siamo a ricordare la necessità di mettere in moto meccanismi e gestione condivisi con i nostri centri antiviolenza per evitare di ricacciare nel silenzio delle mura domestiche la violenza alle donne”, conclude Veltri.