“Il gesto estremo della donna che ieri si è data fuoco davanti al Tribunale di Mestre ci addolora immensamente, perché è il gesto di una donna sola, di cui le istituzioni non hanno saputo comprendere il dolore e a cui non hanno saputo offrire alcun sostegno”.

Così Antonella Veltri, presidente della rete nazionale dei centri antiviolenza D.i.Re, commenta l’autoimmolazione di una donna di origine marocchina dopo che sua figlia, frutto di una relazione con un uomo sposato che inizialmente non ha riconosciuto la bambina, è stata giudicata adottabile dal Tribunale di Mestre, davanti al quale la donna si è data fuoco.

“I servizi sociali non trovano di meglio da fare che allontanare i bambini dalle madri, anziché sostenerle in un momento di difficoltà”, aggiunge Cinzia Marroccoli, consigliera D.i.Re della Basilicata, “una situazione a cui spesso vanno incontro le donne vittime di violenza che accogliamo nei nostri centri, ma che possono contare sul supporto competente di operatrici e avvocate”.

“Allontanare i figli dalle madri, collocarli in istituto, dovrebbe essere la soluzione estrema, invece viene adottata sempre più spesso dai servizi sociali: perché? perché non hanno risorse? non hanno sufficienti competenze?”, chiede Nadia Somma, consigliera D.i.Re dell’Emilia Romagna. “Si tratta di decisioni autoritarie, spesso incomprensibili per le donne, che aggravano la loro condizione di disagio, le spezzano nell’animo”.

“Speriamo che questa vicenda spinga le istituzioni a rivedere le prassi che adottano”, auspica in chiusura la presidente Veltri, “e a confrontarsi con i centri antiviolenza per trovare modalità diverse per sostenere i bambini insieme alle loro madri, anziché sostenere i primi abbandonando le donne al loro destino”.