COMUNICATO STAMPA

Politica delle relazioni e relazioni in politica: al centro la politica delle donne.

È con questo spirito che la Rete nazionale dei Centri antiviolenza ha deciso di accettare l’invito della presidente della Commissione femminicidio On. Semenzato, per testimoniare la necessità di un lavoro profondo, continuativo e trasversale nel contrasto al fenomeno della violenza maschile alle donne

“È importante conoscere il fenomeno” – dichiara Antonella Veltri, presidente D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza. “Noi lo studiamo da oltre 30 anni, lo viviamo a fianco delle donne, lo ascoltiamo dai loro racconti, dalle storie di violenza che vivono. Ed è importante il ruolo della Commissione femminicidio per approfondire, studiare, esplorare e verificare i tanti aspetti che riguardano il fenomeno. “

Tra le 21.000 donne accolte dagli oltre 100 centri antiviolenza della Rete D.i.Re – che rappresentano un terzo dei centri antiviolenza italiani, solo il 27% ha deciso di denunciare.

“Una percentuale ancora troppo alta quelle delle donne che non denunciano – dichiara la presidente Veltri. “Ci chiediamo come mai?”

Continua la presidente Veltri: “Ai centri antiviolenza non viene garantita la continuità di finanziamenti adeguati, per poter programmare le attività indispensabili di accompagnamento delle donne, non viene garantita la possibilità di progettare le azioni di prevenzione e di formazione dei soggetti della rete coinvolti nel fenomeno”.

Secondo la Rete D.i.Re, la Commissione femminicidio ha un ruolo importante, che può essere efficace anche perseguendo questi obiettivi:

  • Studiare il sistema giustizia, continuando il prezioso lavoro della precedente commissione, un lavoro che ha confermato quello che i centri antiviolenza e le avvocate dei centri ripetono da anni: nei tribunali – soprattutto civili – la violenza non è riconosciuta, le donne che la subiscono sono silenziate e la violenza domestica è occultata. La Convenzione di Istanbul non è menzionata e non si applica. Le donne subiscono gravissime forme di vittimizzazione secondaria.
  • Monitorare la riforma Cartabia sulla Giustizia civile, perché il problema non sono mai le norme che declamano e delineano meccanismi perfetti, il problema è sempre la loro l’applicazione. E allora si vada a vedere se la riforma Cartabia ha permesso un cambio di passo (le avvocate della Rete D.i.Re non lo vedono), si analizzi la capillarità, la continuità e la qualità della formazione di tutte e tutti nel sistema giustizia
  • Analizzare i casi di femminicidio, a partire da quelli in cui le donne avevano denunciato, mostrando fiducia nella capacità dello Stato di fornire strumenti di tutela che non sono arrivati. Si vada a vedere cos’è mancato, quando il sistema non è stato all’altezza della fiducia delle donne che ci si affidano anzitutto per bisogno. Si cerchi di comprendere il perché di un tasso di condanna per reati di violenza maschile sulle donne così basso da essere segnalato come preoccupante dalle esperte del GREVIO.
  • Ascoltare le donne: le storie e i casi di donne intrappolate in percorsi giudiziari in cui si trovano accusate di alienazione parentale, schiacciate da consulenze che le tratteggiano come istrioniche o oppositive senza che la violenza subita sia presa in considerazione o abbia alcun riconoscimento
  • Raccogliere le testimonianze delle troppe donne che uscite dalla violenza domestica non hanno i mezzi per sostenere se stesse, le loro figlie e i loro figli e si trovano a tornare indietro rispetto al proprio percorso di libertà, ascoltandole per riuscire a progettare nuovi strumenti che permettano autonomia economica.

Siamo a Venezia per affermare che non ci sono politiche vincenti sul tema della violenza maschile alle donne se non si mettono al centro del cambiamento culturale i centri antiviolenza che dal femminismo sono nati e che nel femminismo continuano ad operare perché non si può prescindere dalla libertà femminile, dal valore dell’autodeterminazione, di uguaglianza di diritti nella diversità dei generi” – conclude Veltri.