Elena Biaggioni*

La L.119/2013 all’art. 3 ha introdotto una misura prevenzione per condotte di violenza domestica che nelle più accorte di noi ha subito destato allarme per la libertà, la sicurezza e l’autodeterminazione delle donne.

I commenti usciti dopo l’adozione della legge si sono spesso limitati ad affermare che la norma “ampliava” o estendeva l’ammonimento già introdotto con la norma sullo stalking di cui alla l. 38/2009. In realtà, la misura di prevenzione in esame è molto diversa e molto distante da quella prevista per il reato di stalking, per presupposti, modalità applicative e conseguenze.

Vediamo allora il testo:

art. 3 Misura di prevenzione per condotte di violenza domestica

Nei casi in cui alle forze dell’ordine sia segnalato, in forma non anonima, un fatto che debba ritenersi riconducibile ai reati di cui agli articoli 581, nonché 582, secondo comma, consumato o tentato, del codice penale, nell’ambito di violenza domestica, il questore, anche in assenza di querela, può procedere, assunte le informazioni necessarie da parte degli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, all’ammonimento dell’autore del fatto. Ai fini del presente articolo si intendono per violenza domestica uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.

Le misure di cui al comma 1 dell’articolo 11 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, trovano altresì applicazione nei casi in cui le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche ricevono dalla vittima notizia dei reati di cui agli articoli 581 e 582 del codice penale nell’ambito della violenza domestica di cui al comma 1 del presente articolo”.

Di seguito gli aspetti a mio avviso problematici, che comportano rischi per la donna e per l’emersione della violenza.

  1. Irrispettoso della volontà della donna

La prima osservazione è che l’attivazione dell’ammonimento per violenza domestica prescinde dalla volontà della vittima. È una notevole differenza da quanto previsto per l’ammonimento per le ipotesi di stalking di cui all’art. 8 l. 38/2009:

Nei casi di stalking è la vittima che può chiedere l’adozione dell’ammonimento in alternativa alla denuncia querela. Nel caso dell’ammonimento per violenza domestica, alla donna non è chiesto nulla. La procedura parte d’ufficio su segnalazione. In pratica, quel che accade è che soprattutto dai presidi sanitari, vi sia la segnalazione alla Questura di un accesso da parte di una donna che lamenta casi di “violenza altrui”. Nessun interesse per quel che vuole la donna.

  1. Profili di pericolosità per la donna

L’ammonimento in casi di violenza domestica è notificato all’autore della condotta a prescindere dalla persistenza della coabitazione/convivenza. Nella maggior parte dei casi è preceduto dall’avviso dell’avvio del procedimento, quale atto amministrativo. In quest’ultimo caso l’autore della condotta violenta è avvisato – a mezzo raccomandata – del fatto che è stato segnalato un episodio di violenza domestica e che la Questura ha aperto un procedimento. Senza valutazioni sulla sicurezza della donna, che nella maggior parte dei casi è ancora in casa.  Ancora una volta una notevole differenza dall’ammonimento nei casi di stalking: lì nella maggior parte dei casi, l’autore della violenza non vive con la donna.

Nel caso in cui la donna si sia semplicemente rivolta al PS per esempio, per refertare le lesioni, non sa della comunicazione, non può rifiutarla. In breve: il Pronto Soccorso non è più un luogo sicuro di protezione. Il compagno violento saprà che la donna si è rivolta al PS e che ha riferito di essere stata aggredita. E nulla può fare per evitarlo.

La Questura procede quindi a breve istruttoria sentendo le persone a conoscenza dei fatti e infine valuta l’adozione dell’ammonimento che, se emesso, è notificato all’autore delle condotte e alla vittima. A questo punto emerge l’ultima grande differenza con l’ammonimento per i casi di stalking: le conseguenze in caso di violazione del provvedimento. Nelle ipotesi di stalking, la violazione dell’ammonimento comporta l’avvio di un procedimento penale d’ufficio per l’ipotesi di cui all’art. 612 bis c.p., nel caso di violazione dell’ammonimento per i casi di violenza domestica, il Questore può al più sospendere la patente di guida.

  1. Rischio di ulteriore occultamento della violenza

L’uso della misura di prevenzione dell’ammonimento, rischia paradossalmente di impedire l’emersione della violenza. Anzitutto alloca alla Polizia la qualificazione giuridica dei fatti, anziché alla Procura. Se è vero che l’ammonimento può essere adottato in casi di “violenza domestica” da intendersi come “uno o più atti, gravi ovvero non episodici” di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare, deve darsi atto che si tratta spesso di ipotesi che potrebbero essere ricondotte entro il reato di maltrattamenti, procedibile d’ufficio. Non è chiaro a questo punto quando e se, indipendentemente dall’ammonimento, sia effettuata la comunicazione della notizia di reato in Procura.

  1. E in caso di presenza di minori?

La norma nulla riferisce per il caso di presenza di minori agli episodi di violenza che hanno innescato la procedura dell’ammonimento. A fronte di un reato, procedibile o meno d’ufficio, scatterebbe l’obbligo di comunicazione al Tribunale per i minorenni e la relativa aggravante. Nel caso di ammonimento nulla è specificamente previsto.

Conclusioni

I punti sopra illustrati sono a mio avviso i più problematici e costituiscono un serio rischio per le donne che subiscono violenza e per l’emersione della violenza stessa.

Quel che rischia di accadere – ed accade già in alcune realtà – è che l’ammonimento si trasformi in una sorta di primo passo, un’intimazione a cessare la condotta senza conseguenza alcuna. Senza l’uscita dalla violenza della donna, senza sicurezza, senza alcuna sanzione civile o penale della condotta. L’ammonimento in casi di violenza domestica NON coinvolge la donna che deve subire un provvedimento che non ha richiesto e di cui si troverà a rispondere avanti il compagno violento.

In alcune realtà si forniscono dati molto lusinghieri a proposito della asserita scarsa recidiva in casi di ammonimento. Io credo che si debba monitorare. L’assenza di recidiva sembra un dato positivo, ma potrebbe significare anche che le donne non si fidano più, non riferiscono più quel che accade per evitare conseguenze non volute.

Concludo con un appello: l’applicazione dell’ammonimento in casi di violenza domestica è uno strumento che deve essere monitorato da tutte le nostre associazioni. Servono dati per tenere alta la guardia: quanti casi, quali, quali le modalità applicative, quante delle donne che “beneficiano” di questi ammonimenti si rivolgono poi ai Centri Antiviolenza (i cui riferimenti devono essere forniti per legge). Il rischio è che in un clima quale quello attuale, gli strumenti di polizia che non mettono la donna al centro, non ne ascoltano le esigenze, diventino la panacea per tutti i mali con l’effetto di rendere la violenza e l’uscita da essa paradossalmente PIU’ pericolosa e MENO visibile.

*Centro antiviolenza di Trento