*Giuliana Pincelli

L’obiettivo del secondo gruppo era quello di partire da ciò che ci fa problema, da quello che incontriamo come ostacolo ed è avvertito come fonte di malessere per tutte noi che operiamo, pur collocate diversamente, nelle associazioni e nei centri antiviolenza, per mettere alla prova alcune categorie e schemi di analisi elaborati da Ota de Leonardis nei suoi studi sulle istituzioni, e saggiarne l’utilità. Dunque proviamo a vedere noi stesse, i nostri Centri come istituzioni. Non c’è dubbio che ormai quasi tutti i Centri che fanno riferimento a Di.Re hanno le caratteristiche che di seguito elenco e che sono indubbiamente proprie delle istituzioni:

  • Ci siamo assicurate una durata e una stabilità nel tempo
  • Contiamo su finanziamenti pubblici erogati in varie forme che ci consentono di attuare l’accoglienza a donne in situazione di violenza, con continuità ed efficacia
  • Utilizziamo lavoro retribuito
  • Siamo in grado di assicurare alle donne in difficoltà un aiuto continuativo e risposte a diversi livelli
  • Molti dei nostri Centri fanno parte delle reti territoriali di contrasto alla violenza alle donne, in genere sotto la direzione degli Enti locali.

Accanto agli aspetti positivi che in parte sono presenti nei punti sopra indicati, avvertiamo anche problemi e criticità che indico brevemente, ma che richiederebbero di essere illustrati attraverso i tanti esempi che la nostra  esperienza di tutti i giorni ci offre: l’opacità, cioè il lasciarci guidare da comportamenti di routine e da automatismi che non riusciamo più a vedere e nominare…, la vischiosità, la tendenza a mettere avanti la finalità della propria autoconservazione e ampliamento rispetto alle nostre finalità originarie, con la perdita di senso del nostro fare…questo, che è la pesantezza dell’essere diventate istituzione, sta dentro o dietro a molte criticità, problemi, malesseri che avvertiamo ma, a volte, per difetto di capacità di lettura, trasformiamo in conflitti non gestibili o in contrapposizioni sterili (ad es. il conflitto tra operatrici e volontarie, tra professionalità e politica, tra vecchie e giovani, ecc.) da cui non riusciamo più a districarci, vere e proprie trappole del linguaggio.

Smettiamo di avere paura di riconoscerci anche nella nostra realtà di istituzioni, smettiamo di buttare la responsabilità delle nostre difficoltà e contraddizioni soltanto all’esterno, sui vincoli e i limiti posti dalle istituzioni pubbliche. Puntare lo sguardo al nostro interno, aumentare la consapevolezza dei meccanismi nei quali rischiamo di rimanere intrappolate, può allo stesso tempo aiutarci a individuare strategie di cambiamento e a cogliere le potenzialità positive che l’essere istituzioni di donne ci permette di sviluppare, anche in un confronto con altre istituzioni di donne che lavorano in ambiti diversi dal nostro, ma alle quali ci lega un terreno politico comune.

Nella discussione di gruppo, il punto di vista esposto nella relazione introduttiva si è rivelato molto produttivo e ha stimolato una grande varietà e ricchezza di riflessioni che qui non hanno lo spazio per essere presentate. Ciò che di più interessante è emerso e che richiede in queste poche note almeno un cenno è stato lo sforzo di individuare direzioni di cambiamento:

a) Differenziare le fonti di finanziamento,  riducendo la quota del denaro pubblico rispetto al finanziamento privato attraverso un rilancio del fund-rising

b) Muoversi nella direzione di aprire la possibilità per le donne che accogliamo di diventare ‘attiviste’ alla pari con noi, rimuovendo ciò che oggi fa da ostacolo al desiderio che a volte è da loro espresso

c) Mettere in moto situazioni nelle quali sia possibile agire insieme alle donne accolte, a partire da loro necessità, ad es. di avere una casa, in modo da non essere più solo quelle che avanzano richieste, ma anche quelle che mostrano la forza che siamo riuscite a costruire nella relazione

d) Allargare la visuale (sia come analisi che come intervento) dalla violenza alle donne come fatto puntuale nella relazione tra i sessi alla violenza sistemica e strutturale alla quale tutte, in questa fase del neoliberismo, siamo soggette.

Un ultimo tema, introdotto dalla relazione, quello delle forme di democrazia interna, della gestione dei conflitti e della questione del potere al nostro interno, nelle relazioni tra donne, ha dato origine a molte e interessanti riflessioni ad es. in particolare ci si è soffermate sul passaggio dal conflitto (che può essere vissuto in senso positivo) alla guerra, quando la diversa da te è vissuta come nemica, come portatrice di una visione inconciliabile con la tua e la via si apre agli abbandoni e alle espulsioni. Su questo tema, così come sulla insoddisfazione rispetto al ricorso ai meccanismi di maggioranza e minoranza, propri di quella democrazia rappresentativa rispetto a cui le donne si sono sempre sentite abbastanza estranee, abbiamo avanzato la proposta di farne oggetto di discussione nel prossimo incontro della Scuola di politica.

 

*Casa delle donne per non subire violenza di Modena