Chi aiuta le donne vittime di violenza in Europa? quanti sono e come funzionano i centri antiviolenza, le case rifugio, le help lines (i numeri telefonici di emergenza)? Le risposte nel nuovo rapporto statistico di WAVE, Women Against Violence Europe, la rete europea dei centri antiviolenza.

Pubblicato a fine aprile, il report si basa su dati riferiti all’anno 2016, raccolti in 46 paesi (anche se non tutti hanno risposto al questionario) con il contributo delle organizzazioni rappresentanti nazionali, per l’Italia D.i.Re, Donne in rete contro la violenza, e propone una fotografia delle risorse a sostegno delle donne che hanno subito violenza, così come previsto dalla Convenzione di Istanbul, fornendo dunque un utile strumento per il monitoraggio della sua applicazione.

Nel 76 per cento dei paesi esiste un numero telefonico nazionale di emergenza, ma questo è gratuito e attivo 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 – come vuole la Convenzione – solo nel 69 per cento dei casi, segno che c’è ancora un ampio margine di miglioramento.

A luci e ombre invece la situazione riguardo alle case rifugio. Solo 5 paesi dell’Unione Europea – Danimarca, Lettonia, Lussemburgo, Malta e Slovenia – mettono a disposizione sul territorio nazionale il numero di posti in case rifugio previsto dalla Convenzione di Istanbul, pari a uno ogni 10.000 abitanti, con il risultato che complessivamente nella UE è disponibile appena il 48 per cento dei posti letto che sarebbero necessari rispetto alla popolazione.

È significativo che le carenze più alte di case rifugio si abbiano in quei paesi – come la Federazione russa, il Belarus e l’Azerbaijan – che non hanno firmato la Convenzione di Istanbul, con punte che toccano l’80 per cento. Segno che la firma e ratifica della Convenzione sono uno stimolo importante per migliorare la situazione.

Per l’Italia il numero di posti letto in casa rifugio indicato nell’indagine è appena 680, ma è basato sui dati di 50 case strutture su un totale di 258 indicate come disponibili sul territorio nazionale, mentre in base agli standard previsti dalla Convenzione di Istanbul dovrebbero essere 6.067.

Ancora più sfaccettato il quadro dei centri antiviolenza: se tali centri sono presenti in 40 paesi sui 44 che hanno compilato il questionario di Wave, molto diversificate sono le prestazioni offerte, il focus di queste e le metodologie adottate.

Wave entra nel merito distinguendo le seguenti tipologie:– centri di pronto intervento, prima risorsa per le donne che hanno denunciato, sempre con una grande varietà di approcci metodologici;

– centri di emergenza per donne vittime di stupro/violenza sessuale, presenti in 17 paesi;

centri antiviolenza per donne vittime di violenza, che in taluni paesi sono sono inseriti anche direttamente negli ospedali, mentre in altri completano i servizi offerti dai centri centri di emergenza;

centri specializzati per donne di colore e appartenenti a minoranze etniche o migranti, presenti in Austria, Serbia, Turchia e Regno Unito;

centri specializzati per donne vittime di tratta, presenti in una 15ina di paesi ma con pochissime informazioni sul loro funzionamento;

altri centri non residenziali, che offrono cioè servizi di counselling, sostegno psicologico e altre forme di aiuto, e sono la tipologia più diffusa, presente in 36 paesi su 44.

Un’ultima tabella elenca infine i paesi che hanno adottato un Piano nazionale antiviolenza, come ha fatto l’Italia. Seguono poi le schede paese, che approfondiscono più nel dettaglio la situazione dei singoli paesi.

Wave Country Report 2017 (in inglese)