di Alessandra Campani e Elena La Greca

“Da molti anni ci occupiamo di prevenzione, anche nei nostri rispettivi centri antiviolenza di Reggio Emilia e Prato. L’occasione di partecipare, come consulenti di questo progetto nazionale, ci è sembrata da subito ghiotta in quanto utile a condividere desideri, pensieri e possibilità – certe di una condivisione di fondo tra di noi di presupposti e priorità propri della prevenzione della violenza maschile sulle donne.

La richiesta che ci è stata fatta non si limitava al piano formativo, ma si allargava alla possibilità di progettazione e realizzazione di uno strumento didattico con il supporto di una agenzia di comunicazione, Hero srl.

Durante tutto il percorso progettuale abbiamo dato valore al partire da sé. Partire da sé vuol dire partire dal proprio corpo, reinventarne percezione, rappresentazioni e potenzialità anche quando creativamente si cerca di dare forma ad una intuizione.

La finalità del progetto Libere (e liberi) di essere a scuola è lo sviluppo di una comunità educante impegnata nel contrasto alla violenza sulle donne e le giovani donne attraverso azioni che favoriscano un vero e profondo cambiamento culturale per sradicare la violenza basata sul genere.

Per realizzarla sono previste due linee di intervento: una organizzata a livello locale che vede il coinvolgimento delle scuole e una a livello nazionale attraverso la realizzazione di un festival nazionale contro la violenza sulle donne.

Le misure di prevenzione primaria hanno un ruolo essenziale nella lotta contro la violenza di genere.

A livello locale, abbiamo scelto di coinvolgere le scuole in quanto componente fondamentale della vita dei bambini e delle bambine e uno dei principali contesti in cui si svolge la socializzazione di genere ed in cui si possono creare, mantenere e trasmettere comportamenti ed atteggiamenti stereotipati.

Il progetto ha mirato, da un lato, ad aumentare la consapevolezza da parte degli educatori e delle educatrici e insegnanti, quotidianamente in contatto con minori, dell’esistenza di questo fenomeno e dei suoi radicamenti culturali e dall’altro la possibilità di acquisire ulteriori strumenti pedagogici di prevenzione.

In questa linea di intervento è stata promossa la formazione di insegnanti, educatori ed educatrici, attraverso la realizzazione e la diffusione di quattro video animati. Si tratta di un’attività sperimentale realizzata con il supporto delle operatrici dei 16 Centri antiviolenza della rete D.i.R.e selezionati, in 20 Istituti comprensivi a livello nazionale, coinvolgendo bambini e bambine della fascia di età compresa tra i 4 e i 7 anni.

Nell’anno scolastico 2019/2020, sono state coinvolte 315 insegnanti [femmine] e 7 insegnanti [maschi], per un totale di 322con una parte nella sperimentazione dei video in classe con i bambine e le bambine; 1856 sono i bambini e le bambine (949 maschi e 907 femmine) che hanno partecipato alle attività di cui 655 della scuola dell’infanzia e 1201 delle prime due classi della scuola primaria.

La parola scelta prioritaria e trasversale a tutti i video è POTERE. Potere, per usare una espressione di Eleonora Cirant, è una parola territorio dei centri antiviolenza: potere maschile, potere femminile, potere nella relazione, disparità di potere, potere come autodeterminazione, potere della relazione tra donne nella pratica di accoglienza.

Obiettivo complessivo di questo lavoro è far emergere la parola potere nella doppia accezione: potenza, forza, autorevolezza e potestas cioè potere in quanto dominio, diritto. Abbiamo deciso di articolare la parola potere in un binomio di significati ognuno dei quali caratterizza un video: poter essere e poter ascoltarsi, poter scegliere e poter fare, il potere del si e il potere del no e infine, il potere nell’alternativa tra forza e potenza. La finalità è mostrare concretamente altre possibilità di azione, pensiero, comportamento utili ad ampliare l’immaginario culturale sul maschile e sul femminile proprio per contrastare la violenza maschile sulle donne.

Una prevenzione corretta della violenza maschile dovrebbe ampliare di molto i suoi confini, far saltare la cornice della violenza come dinamica privata per riconoscere come il microcosmo relazionale sia il ‘continuum’ di un conflitto di genere che attraversa e pervade tutte le relazioni della nostra società, anche quelle apparentemente non violente, e che ha la sua matrice nella legittimazione sociale di una differenza tra i due generi intesa come gerarchia di valori.

In che modo chi educa può aiutare i bambini e le bambine a sottrarsi dal peso di un ordine simbolico e sociale che, attraverso stereotipi, continua ad ostacolare lo sviluppo di un’esistenza libera e radicata nella propria identità di maschi e di femmine? Per educare nel rispetto della differenza è necessario in primo luogo uno spostamento di sguardo, dall’esterno verso l’interno: occorre ricentrare su di sé e sul proprio essere donne e uomini il senso da conferire all’agire educativo. La differenza sessuale/di genere non è un contenuto, un oggetto, da ricercare nei comportamenti delle bambine e dei bambini con cui ci si relaziona ma è il significato che ognuna e ognuno di noi attribuisce in primo luogo al proprio essere donna, essere uomo, all’interno dei contesti educativi.

La trasmissione di valore e forza da parte di chi educa non avviene però automaticamente: richiede che si provochi un riconoscimento attivo e consapevole da parte dei bambini e delle bambine, altrimenti il rischio è di un’imposizione autoritaria di altri modelli e contenuti ideologici.

Nell’autunno 2019 abbiamo condotto una formazione per le operatrici dei Centri antiviolenza perché loro stesse potessero poi realizzare una formazione con educatrici, educatori, insegnanti nelle singole città per un confronto diretto sugli stessi video condividendone finalità, potenzialità e metodologia di lavoro. Le attività precedenti e successive alla visione dei singoli video sono state tante e diversificate grazie alla creatività messa in campo con generosità e attenzione dalle scuole.

Le forme di potere caratterizzanti ogni singolo video sono state riconosciute dai bambini e dalle bambine così come particolarmente interessante è stato rilevare le singole attribuzioni di genere date ai diversi protagonisti. In fase di progettazione, dei video animati, attenta e oculata è stata la scelta dei personaggi affidati, volutamente, nella animazione a figure geometriche così come una particolare cura è stata dedicata alla scelta dei vari colori, dei dettagli e delle caratteristiche fisiche.

La raccolta dei risultati dell’attività di formazione/prevenzione promossa a livello nazionale ci ha consentito uno sguardo raro, e contemporaneamente complesso, su di una fascia d’età spesso trascurata dai Centri antiviolenza in termini di prevenzione su questi temi. La sperimentazione ci ha confermato, infatti, la necessità di una formazione continua e competente degli adulti perché i bambini e le bambine hanno le parole per raccontarsi e per dirsi, anche su questioni così complesse, che affidano ad insegnanti, educatori ed educatrici e con cui, responsabilmente, è possibile ampliare un immaginario collettivo sul maschile e sul femminile.

La proposta formativa e le successive attività, a partire dalla visione dei singoli video, hanno consentito di mantenere l’attenzione costante su un doppio livello: da un lato sulla tematica del potere, nell’accezione positiva descritta in premessa, e dall’altro sulle modalità di attribuzione di genere dei protagonisti (o per caratteristiche fisiche o per azioni normalmente assegnate all’uno o all’altro genere).

La scommessa della sperimentazione è stata vinta per ciò che si è messo in moto.

La convinzione che ci ha sostenute rimane la possibilità di tenere aperta la prospettiva generativa del cambiamento nei modi di pensare, sentire e agire senza la quale non è possibile affrontare il dilagare del pregiudizio e la logica vincente della sopraffazione dell’altra o dell’altro. Le diverse e variegate percezioni contribuiscono alla messa in trasparenza, anche contradditoria, del contesto sociale nel quale viviamo ricordandoci quanto Lidia Menapace scriveva nel testo Economia politica della differenza sessuale “Cercare di dimostrare che un qualsiasi punto di vista che ambisca a una certa ampiezza e validità generale – oggi- deve dichiarare la propria parzialità, la propria soggettività: mi pare che questo sia il più rilevante e indiscutibile contributo portato dal pensare la differenza, dal pensiero della differenza”.