di Linda Laura Sabbadini – Direttrice centrale ISTAT, Incoming Chair di Women20

La crisi che stiamo attraversando è profonda. 900 mila occupati in meno da febbraio 2020 sono tantissimi, soprattutto se consideriamo le misure adottate dal governo, il blocco dei licenziamenti, la cassa integrazione. Le donne sono state colpite più degli uomini a differenza delle crisi precedenti e ciò non deve meravigliare per due motivi fondamentali.
Primo, la crisi ha colpito più il settore dei servizi che l’industria, dove le donne sono più presenti.
Secondo, le donne hanno lavori più precari e addirittura irregolari degli uomini, quindi sono più a rischio soprattutto nei settori del turismo e della ristorazione e servizi domestici, di perdere occupazione. Il problema per le donne del nostro Paese è che già precedentemente alla crisi si trovavano agli ultimi posti per tasso di occupazione femminile in Europa. E per le giovani da 25 a 34 anni, l’Italia è fanalino di coda. La crisi per noi è stata più forte e si è abbattuta su una situazione già compromessa per le donne. Nel 2019, infatti, a mala pena eravamo arrivati a metà delle donne che lavorava, nonostante l’obiettivo europeo per il 2010 fosse il 60%. A distanza di 10 anni neanche la Lombardia ha raggiunto il 60% di occupazione femminile e solo Trento Bolzano, Val D’aosta e Emilia Romagna ce l’hanno fatta. Non a caso stiamo parlando di regioni dove anche sul fronte delle infrastrutture sociali la situazione è migliore. Un ritardo profondo, che pagano le donne. Se non si ha lavoro non c’è autonomia economica. Non solo cresce il rischio di povertà ma anche il rischio di subire violenza. Si ha più difficoltà a prendere la forza di reagire se non si è indipendenti ricattate dal lavoro che non c’è .

La battaglia per il lavoro delle donne è battaglia per la libertà femminile. Libere di scegliere, libere di auto determinarsi, libere di costruire propri percorsi di vita. Il nostro Paese non può essere definito un Paese avanzato e moderno fino a quando non risolverà questo annoso problema che si trascina da decenni. E che è diventato gravissimo al Sud dove solo una donna su tre lavora. Il Sud infatti non ha approfittato neanche della crescita dell’occupazione femminile avvenuta negli anni ’90 . Subito dopo la recessione degli anni’90 l’occupazione delle donne cominciò a crescere intensamente fino al 2008 quando si interruppe. Fu il grande cambiamento del Centro Nord, il mercato del lavoro si tinse di rosa. Il Sud raccolse le briciole. E anche dopo. Fino a oggi.

Dobbiamo tutti essere coscienti che se non si risolve il problema della crescita del lavoro femminile il nostro Paese non crescerà come potrebbe. Puntare sulla crescita dell’occupazione femminile significa far fare un balzo al PIL, diminuire la povertà, soprattutto dei minori e al Sud dove si sta peggio.Investire sulle infrastrutture sociali significa alleviare il sovraccarico di lavoro di cura sulle spalle delle donne e allo stesso tempo far crescere occupazione femminile.

Mai come ora sconvolti come siamo da una crisi della cura che si combina con la crisi climatica e la rivoluzione tecnologica abbiamo bisogno di un cambiamento di rotta sull’occupazione femminile. Più strutturale, qualitativamente migliore.

Mai come ora dobbiamo essere vigili. Far sentire la nostra voce. Il piano di riprese e resilienza deve fare i conti con questo aspetto realmente. Troppa sofferenza delle donne dietro questi numeri. O le donne sapranno farsi ascoltare, o le donne sapranno farsi carico delle difficoltà delle altre e saranno presenti nei luoghi dove si decide, oppure la disuguaglianza rischierà di crescere. E non ci perderanno solo le donne.