a cura di Rossella Silvestre e Isabella Orfano (ActionAid Italia)

Dal 2013 al 2022, i fondi statali destinati alle strutture antiviolenza sono progressivamente aumentati. Inoltre, attraverso l’ultima legge di bilancio, l’Italia si è finalmente dotata stabilmente di un Piano nazionale antiviolenza da finanziare annualmente con 15 milioni di euro. Tra il 2020 e il 2023, poi, sono stati allocati circa 13,8 milioni di euro per il reddito di libertà nazionale per garantire alle donne inserite in percorsi di fuoriuscita dalla violenza 400 euro mensili per un anno. Si tratta certamente di azioni migliorative del sistema antiviolenza italiano ma, se si incrociano queste cifre con lo stato dell’arte delle politiche in questione, nonché i dati e le esperienze quotidiane dei centri antiviolenza e delle case rifugio, la situazione è ben lontana dall’essere considerata positiva.

Innanzitutto, il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023, a distanza di 18 mesi dal suo lancio, non è ancora stato integrato con l’allegato operativo che dettaglia ruoli, responsabilità, tempistiche e relative risorse finanziarie per realizzare le numerosissime attività elencate. Al di là dei tempi ovviamente impossibili da rispettare, risulta pressoché irrealistico implementare tutti gli interventi previsti con i fondi allocati con le leggi di bilancio 2022 e 2023. Questo è, tra le altre cose, il risultato della mancanza di un’analisi strutturata, intersezionale e periodica dei bisogni del sistema antiviolenza e delle donne assistite, nonché dei relativi costi da sostenere. Tale mancanza si evince anche nell’analisi dei fondi destinati ai centri antiviolenza e alle case rifugio, così come previsto dall’art. 5-bis del DL 93/2013. Nonostante siano esponenzialmente aumentate dal 2013 al 2022 (+369%, passando da circa 9 mln annui a 30 circa), le risorse economiche sono ancora ampiamente inadeguate per garantire la sostenibilità delle strutture. Si stima infatti che, nel 2022, siano stati mediamente destinati 39mila euro per centro antiviolenza e 36mila per casa rifugio, fondi che impiegano ancora troppo tempo per giungere a destinazione (mediamente 14 mesi) mettendo in difficoltà – oramai sistemica – molte realtà e ledendo il diritto alle donne di vivere una vita senza violenza.

Lo stesso tipo di approccio è stato utilizzato anche per finanziare il reddito di libertà, mettendo a disposizione risorse largamente insufficienti a rispondere alla potenziale platea di beneficiarie. Nel triennio 2020-2022, 2.500 donne hanno avuto accesso a tale misura, mentre nel 2023 saranno ancora meno a causa della riduzione dei fondi messi a disposizione: 300 circa. Si tratta di numeri molto distanti da quelli calcolati dall’Istat (2021), secondo cui sarebbero 21.000 all’anno le donne inserite in percorsi di fuoriuscita dalla violenza che potrebbero beneficiare di misure di supporto economico. Eppure, il reddito di libertà potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nel processo di empowerment socioeconomico delle donne, soprattutto se reso strutturale attraverso una legge dedicata, finanziato adeguatamente, reso flessibile in termini di durata e di modalità di erogazione del contributo.

Se si prendono poi in considerazione forme di violenza di genere meno note, come le mutilazioni genitali femminili (MGF) e i matrimoni precoci e forzati (MPF), la situazione risulta ancora più grave. Sebbene siano menzionate all’interno del Piano antiviolenza e siano punite da norme specifiche (rispettivamente la l. 7/2006 e la l. 69/2019), sono pressoché inesistenti informazioni sui fondi erogati e le attività realizzate. Ad esempio, dall’analisi delle leggi di bilancio del triennio 2021-2023, si evince che siano stati allocati 3.074.103 milioni di euro al Dipartimento per le Pari opportunità, al Ministero dell’Interno e a quello della Salute per azioni di prevenzione e contrasto alle MGF ma, ad oggi, non sono disponibili dati pubblici riguardanti la loro destinazione d’uso e relativa efficacia. 

Alla luce di tale quadro, è evidente che il sistema antiviolenza italiano è finanziato in modo inadeguato e senza alcuna visione sistemica fondata su politiche integrate, necessaria non solo per fornire sostegno alle donne supportate dalle strutture antiviolenza, ma soprattutto per contrastare le disuguaglianze e le discriminazioni di genere e, quindi, prevenire ogni forma di violenza maschile e istituzionale. In questo senso, è stata persa anche l’occasione di utilizzare fondi del PNRR per rafforzare il sistema antiviolenza italiano. Le istituzioni italiane hanno dimostrato, una volta ancora, che la violenza maschile contro le donne non è certo una priorità per questo Paese. 

Note e riferimenti:

  1.  ActionAid, Cronache di un’occasione mancata, novembre 2021.
  2. ActionAid, Diritti in bilico. Reddito, casa e lavoro per l’indipendenza delle donne in fuoriuscita dalla violenza, novembre 2022.