Etelina Carri*

Sin dalla solenne approvazione da parte del Parlamento italiano della Convenzione di Istanbul, avevamo messo l’accento sul rischio maggiore che avvertivamo, sulla base della nostra esperienza: che non seguissero impegni conseguenti, coerenti e significativi. L’impianto di natura “costituzionale” della Convenzione di Istanbul, dai cui principi e prescrizioni tutti coloro che operano sia sul piano istituzionale che sul piano associativo, non possono e non devono prescindere, configura, con puntualità e solennità, aspetti fondamentali, che vale la pena sinteticamente richiamare:

  • la condanna di ogni forma di violenza sulle donne in primis quella della violenza domestica;
  • il riconoscimento dell’uguaglianza di genere de jure e de facto, come obiettivo di fondo e come elemento portante per ogni strategia di prevenzione;
  • la precisa consapevolezza della violenza come una manifestazione dei rapporti di forza storicamente disuguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini, ostacolando od impedendo la loro piena emancipazione;
  • l’identificazione della violenza contro le donne come uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette, in ogni parte del mondo, sia pure con diverse modalità, in una posizione subordinata rispetto agli uomini;
  • la denuncia della situazione drammatiche in cui si vengono a trovare i minori anch’essi vittime di violenza domestica, anche in quanto testimoni di violenze all’interno della famiglia;
  • soprattutto il diritto delle donne di vivere libere dalla violenza.

A fronte di queste ed altre fondamentali acquisizioni, frutto di analisi circostanziate, riguardanti le realtà più diverse nel mondo, Istanbul continua a rappresentare un riferimento obbligato soprattutto perché invita a predisporre un quadro globale di politiche e di azioni davvero in grado di fronteggiare efficacemente un fenomeno così drammatico, che tende a perpetuarsi nei contesti più diversi, con l’obiettivo di rafforzare l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne, e di affermare una loro piena libertà.

Cosa è accaduto nel nostro Paese dopo Istanbul?
Si sono fatti dei passi in avanti ? La risposta a simili interrogativi non ci pare molto confortante.
Abbiamo assistito in realtà, sul piano normativo e non solo, ad una successione di provvedimenti e comportamenti non molto conseguenti né coerenti né significativi: in particolare, da subito è risultata evidente la esiguità dei finanziamenti previsti, l’assenza di un vero processo partecipato delle associazioni che hanno partecipato ai lavori della Task force interministeriale contro la violenza alle donne, coordinati dal Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio.

Percorso questo che si è rilevato discontinuo e poco lineare, è mancato un chiaro indirizzo politico ed è stato spesso faticoso e difficile per i differenti approcci e soprattutto per il tipo di interventi proposti per contrastare la violenza contro le donne.

Più in profondità, vale la pena ricordare come la retorica della semplificazione “giuridica”, che da qualche tempo condiziona pesantemente il discorso pubblico sulla giustizia, rischia di provocare gravi ricadute sulla condizione delle donne maltrattate, delineando una direzione esattamente contraria rispetto al principio contenuto nella Convenzione di Istanbul del rafforzamento dell’autonomia e dell’autodeterminazione della donna.

Un solo esempio. L’introduzione della negoziazione assistita in tema di regolamentazione dei rapporti familiari, separazione, divorzi e modifiche delle condizioni delle separazioni e dei divorzi, determina una sottrazione della materia familiare alla giurisdizione per trasferirla nell’ambito della contrattazione tra le parti. E noi ben sappiamo che nel momento della rottura del rapporto di coppia, in particolare quando la donna decide di sottrarsi ad una relazione violenta, ci sono rapporti non certo equilibrati nei quali, nella stragrande maggioranza dei casi, la donna è sottoposta al ricatto economico, con il concreto rischio di vedersi privata di ogni mezzo di sostentamento.

In questo contesto chi ha maggiori disponibilità economiche e un dominio di fatto sull’altro coniuge potrà, più facilmente di prima, avere la meglio nella determinazione delle condizioni degli accordi da assumere, che potranno così segnare la vita di chi ha una posizione di maggior debolezza (personale o economica) nel rapporto di coppia. Tale debolezza è a volte proprio il frutto di una situazione di violenza, di carattere psicologico, fisico o economico, perpetrata all’interno della relazione familiare, con il conseguente rischio di pregiudicare fortemente il percorso di uscita dalla violenza della donna. Chi quotidianamente è impegnato su queste situazioni complesse e drammatiche non può che denunciare il serio pericolo che si consumino in tal modo veri e propri baratti di libertà individuale.

Ulteriore attacco ai principi della Convenzione di Istanbul è rappresentato dall’orientamento prevalente nei tribunali civili del ricorso alla mediazione.
Assistiamo infatti alla insistita enfasi di tale strumento anche nei casi di violenza intra-familiare. Non ci resta che ribadire in proposito ciò che deriva da una esperienza ormai lunga e consolidata. La violenza non è mediabile. La violenza è il limite della mediazione. La mediazione risulta persino essere uno strumento pericoloso se applicato ai casi di violenza. Rischia di occultare la violenza, di spostare lo scontro da un piano giuridico a un piano privato, paralizzando l’azione giudiziaria e privando quindi le parti della necessaria tutela giurisdizionale. Si tratta di un confronto difficile ma necessario onde evitare seri arretramenti proprio sul piano di un efficace contrasto alle diverse forme di violenza.

Un rapido cenno anche alla ripresa su larga scala, con tutte le sue ambiguità, del tema della “bigenitorialità”: Spesso assistiamo alla riproposizione di questa grande e complessa questione sociale e culturale in termini prevalentemente ideologici, con l’accento su astratti meccanismi costrittivi, che sarebbero sempre da attivare, indipendentemente dalle reali situazioni di fatto, con la seria conseguenza di eludere significativamente la rete dei diritti delle parti in causa e di comprimere fortemente la libertà delle donne, in particolare in contesti di documentata violenza.

Non accennano a diminuire i dati del fenomeno della violenza sulle donne
Tutto questo in un panorama generale dove, quasi superfluo ricordarlo, non accennano a diminuire i dati del fenomeno della violenza sulle donne, su cui pesa ulteriormente la possibilità di una certa assuefazione da parte di una pubblica opinione, che viene mobilitata molto spesso su episodiche campagne emotive, sull’onda di qualche fatto di cronaca, seguito “rumorosamente” sul momento, senza un seguito davvero duraturo e significativo.

Impegnate a promuovere una azione più determinata
D.i.Re si sente ancora di più, proprio in presenza di questa difficoltà nel dare seguito all’accoglimento di delle grandi istanze della Convenzione di Istanbul, impegnata a promuovere una azione più convinta e determinata. Sollecitazioni, confronti, convenzioni rafforzate con gli enti di governo territoriale: la nostra esperienza ci insegna che si possono sempre battere nuove strade, anche superando ostacoli che possono apparire assai problematici, in un dialogo anche più stringente con tutte le forze parlamentari, alle quali non potrà sfuggire la fragilità dei provvedimenti messi in campo, se davvero confrontati con una realtà con la quale quotidianamente vanno fatti i conti.

Ma, soprattutto, si tratta di favorire una nuova consapevolezza di natura culturale e sociale, attivando diversi soggetti, lavorando specialmente con le giovani generazioni, nei momenti formativi ed educativi, promuovendo mobilitazioni sempre più larghe, intelligenti e condivise, sulla base di alcuni precisi criteri: contrastare la tendenza a sottovalutare la gravità dei reati contro le donne e la pericolosità dei loro autori, contrastare la tendenza nei tribunali civili a non tenere conto della violenza intra-familiare nell’assumere i provvedimenti, aprire un confronto approfondito con le associazioni maschili che intendono finalmente percorrere nuovi sentieri, esigere a tutti i livelli il pieno rispetto del valore e della vigenza normativa della Convenzione di Istanbul.

Ogni riflessione in sede legislativa, ogni ricerca di negoziazione, nel pieno riconoscimento dei diritti e dei doveri delle parti in causa, o si fonda su un nuovo pensiero di libertà, o rischia di generare nuovi equivoci, arretramenti e nuove sofferenze.

*Associazione Nondasola – Donne Insieme contro la violenza Onlus, Reggio Emilia