Anna Bainotti*

Mi sono iscritta con molta fatica al 3° seminario della scuola di politica Darsi Parola “La politica dei Centri Antiviolenza D.i.Re”, L’Aquila  17, 18, 19 giugno.

Avvertivo la pesantezza di sostenere una quotidianità sempre più complessa, data dalle richieste delle donne accolte,  con i loro bisogni di protezione e di giustizia e dal  nostro rapporto molto spesso complicato  con le istituzioni e il territorio. A tutto questo, si aggiunge la necessità di avere uno spazio di riflessione tra di noi, sul modello organizzativo e gestionale del nostro Centro a distanza di vent’anni e che ha dato avvio ad un processo di cambiamento, di messa in discussione, di confronti e scontri, di incertezze, ma anche di nuove consapevolezze raggiunte e di rafforzamenti  delle nostre relazioni.

 In questo processo di cambiamento un ruolo determinante è stato assunto dalle giovani operatrici che sono state inserite nel centro negli ultimi anni e che hanno portato esigenze e bisogni personali specifici. Questo elemento è stato promotore di riflessioni nel gruppo e di analisi sulle questioni inerenti al che cosa serve al Centro, come rispondiamo alle donne accolte e ai loro figli, come stiamo noi nel Centro.

Con queste premesse arrivo all’Aquila e fin dal primo giorno sento che c’è qualcosa di diverso. L’accoglienza delle compagne del centro antiviolenza aquilano mi emoziona, le relazioni di presentazione dei gruppi pongono interrogativi  condivisibili e vicini a quanto si sta discutendo nel mio centro. Vorrei partecipare a tutti e quattro i gruppi, poi scelgo il gruppo uno: Centri antiviolenza: spazi di elaborazione femminista,  formazione e trasmissione dei nostri saperi.

Sono molti gli aspetti e i problemi che vengono affrontati, alcuni decisamente “nuovi” rispetto al percorso fatto in questi anni da D.iRe. Mi riferisco, per esempio  al rapporto tra lavoro e politica che considero un indicatore importante del nostro cambiamento e della nostra capacità di rileggere la nostra storia in relazione alla realtà esterna in movimento, al nostro posizionamento nelle reti territoriali, alla nostra capacità di trasmettere i nostri saperi , di cogliere e soddisfare i bisogni che esprimono le giovani donne che stanno entrando nei centri .

Considerare i centri antiviolenza anche come luoghi di lavoro implica chiarire lo stesso concetto di lavoro rinominando l’idea di reddito intesa come restituzione di qualcosa dato e definire le forme di restituzione. In questa idea di reddito il salario è un elemento, ma altri elementi concorrono quali il valore sociale, il riconoscimento personale e professionale, inteso quest’ultimo non come possesso di un titolo di studio ma come capacità di coniugare i metodi/tecniche e le pratiche/politica. Iniziare a riflettere su questi aspetti significa anche essere consapevoli che oggi nei centri stiamo alimentando il precariato e contribuiamo al processo di “erosione” dei diritti delle donne, mi riferisco alla maternità, alla malattia ecc.

Come “donna di memoria” che ha lottato per il riconoscimento e l’affermazione dei diritti alle donne mi sento impegnata ad affrontare questa questione ritenendola fondamentale e ringrazio Federica e Antonella per gli stimoli che hanno saputo dare nella conduzione del gruppo di lavoro.

Voglio anche ringraziare tutte le donne di D.i.Re che hanno permesso la realizzazione di questa terza edizione della scuola che ritengo molto importante come spazio di riflessione, ma anche di unione e forza delle donne  seppur nella diversità delle nostre storie e realtà dei centri.

In conclusione, se devo sintetizzare la mia esperienza di questi giorni, penso a due parole con significato profondo: coraggio e forza, delle donne del centro dell’Aquila e di tutte le donne dei centri D.i.Re di sapere affrontare una realtà sempre più complessa e ostile , di iniziare a nominare questioni  “difficili” quali la democrazia nei centri o il potere delle donne, di fare emergere e affrontare  contraddizioni e cambiamenti.

Associazione Artemisia, Firenze