Il 26 luglio esce l’annuncio di una conferenza stampa organizzata dall’Osservatorio regionale sulla violenza di genere del Consiglio regionale della Calabria presieduto dal Dr. Mario Nasone il successivo 30 luglio a Reggio Calabria, per presentare il progetto ‘Adotta una storia di femminicidio’ promosso dall’Osservatorio in collaborazione con il MIUR.
D.i.Re affida a un comunicato stampa la propria posizione critica, espressa dalla vice presidente Antonella Veltri, attivista del centro antiviolenza Roberta Lanzino di Cosenza.

Ne è nata una corrispondenza con il Dr. Nasone, coordinatore dell’Osservatorio regionale, che rendiamo pubblica come da lui richiesto.

La risposta di D.i.Re al Dr. Mario Nasone – 31 luglio 2019

Egregio Dr. Nasone,

il progetto “Adotta la storia di una vittima di femminicidio” promosso dall’Osservatorio regionale sulla violenza di genere del Consiglio regionale della Calabria, di concerto con il Miur, Ufficio scolastico ambito territoriale di Reggio Calabria, illustrato in conferenza stampa il 30 luglio u.s., presenta, come già espresso nel comunicato stampa di D.i.Re del 26 luglio, contenuti e approcci al tema della violenza alle donne che la nostra associazione nazionale, forte di 80 organizzazioni che gestiscono 108 centri antiviolenza, 90 case rifugio, 45 case di semi autonomia e 108 sportelli antiviolenza, cerca di contrastare nelle attività culturali e di formazione che svolge in tutte le Regioni.

Come dichiarato nel comunicato stampa di D.i.Re, l’adozione della storia di chi non ce l’ha fatta, considerato che la morte delle donne vittime di femminicidio è sovente imputabile alle istituzioni che non sono state in grado di proteggerla nonostante le denunce, non aiuta ad affrontare il fenomeno e addirittura risulta essere pericoloso per il messaggio che veicola.

Il progetto, con l’accordo del MIUR, vede coinvolti soggetti che avrebbero dovuto nutrirsi del contributo di chi sul tema lavora da anni, non per fare assistenza alle donne o per ricordarle una volta morte, ma per costruire percorsi di vita, di libertà e consapevolezza, lanciare messaggi di forza e di sostegno reale e concreto.

Nel progetto da lei presentato alla stampa non si evince chi erogherà la formazione rivolta a insegnanti e a bambini/e delle scuole che intenderanno aderire. Anche i parenti delle vittime – cui va tutta la nostra solidarietà – hanno sottolineato l’importanza dei centri antiviolenza, presidio essenziale a fronte delle disfunzionalità e inadempienze del sistema giudiziario. Forse pensa di coinvolgere i centri antiviolenza per fare formazione? Ancora una volta e anche su questo a titolo gratuito? E su che temi?

Ricordare una donna morta di femminicidio significa commemorare il fallimento dello Stato, incapace di proteggerla ed evitarle questa sorte. Significa appiattirla su stereotipi e luoghi comuni che la rivittimizzano e non aiutano a rimuovere gli ostacoli da superare per costruire una società del rispetto della dignità e di vita per tutte e tutti. Anche le vittime di mafia o gli/le ebrei/e trucidati nel genocidio nazi-fascista, cui si richiama il progetto nelle sue dichiarazioni, sono testimonianza di istituzioni che hanno fallito, che non hanno saputo proteggere queste persone o hanno, nel caso del nazi-fascismo, pianificato deliberatamente la loro morte. Ma si tratta di strutture puntuali, circoscritte, eversive. Lo Stato italiano lotta contro la mafia fin dalla sua fondazione, e ha ripudiato il fascismo nella sua Costituzione democratica.

Diversa è la condizione delle donne che muoiono per mano maschile.

Le radici della violenza alle donne si annidano nella cultura patriarcale nella quale viviamo che continua a basarsi e a fondarsi su rapporti di potere che vanno a scapito delle donne.

I modelli culturali, ormai sedimentati e storicizzati, profondi e radicati determinano assetti sociali intrisi di disparità, di diseguaglianze e di sfruttamento, di esercizio di potere del genere maschile.

L’affermazione della libertà femminile passa attraversa questi paradigmi e si costruisce anche e soprattutto dando spazio e voce a chi vuole superare questo assetto.

Per questo ci allarma la declinazione dei suoi scritti tutta al maschile, che non comprende un femminile che invece è indispensabile nominare. Declinare e nominare il femminile sono il primo passo semantico, logico e politico per riconoscere esistenza e soggettività alle donne, e dunque il rispetto dei loro diritti e della loro libertà imprescindibili per porre fine alla violenza contro le donne.

Non basta dichiararsi “contro la violenza sulle donne” se poi non si presta ascolto al pensiero e alle proposte delle donne che hanno costruito sul tema della prevenzione e del contrasto alla violenza di genere competenze e saperi maturati in anni di lavoro sul campo.

Lei parla di inesattezze nel nostro comunicato.

Di certo registriamo una grande sofferenza dei centri antiviolenza, in continuo e perenne affanno economico, con ritardi inammissibili nell’erogazione dei fondi che pure spettano loro in base alla Convenzione di Istanbul e alle disposizione del Dipartimento pari opportunità che li eroga.

Progettare con una donna l’uscita dalla violenza, sostenerla e accompagnarla per ricostruire la propria vita richiede continuità di finanziamento nel tempo. I centri antiviolenza sono costretti ad affrontare con saltuari e spesso eventuali finanziamenti le tappe di questi difficili percorsi, e in ultima analisi, sono le donne sopravvissute alla violenza che subiscono le conseguenze di questa situazione.

Lei parla di coinvolgimento dei centri antiviolenzain seno all’Osservatorio.

Il coinvolgimento non è il passaggio di informazioni che altrove vengono assunte e prese.

Gli scambi di idee con le modalità per le vie brevi ci risultano non essere stati accolti, né recepiti.

Ci risulta, altresì, la necessità di incontri delocalizzati sul territorio regionale così da consentire a tutte le realtà calabresi impegnate sul tema di essere presenti e parte attive.

Ha menzionato la prima conferenza sulla violenza di genere in Calabria, nella quale Lei aveva completamente omesso la partecipazione di D.i.Re, inserita all’ultimo momento e dietro forti sollecitazioni.

Vede, Dr. Nasone, la violenza contro le donne non può essere affrontata a spot e con interventi di impatto mediatico, se poi non si dà seguito e non si dà continuità a progetti condivisi e concertati con i Centri antiviolenza e le istituzioni coinvolte.

La invitiamo a confrontarsi positivamente con il Tavolo di lavoro regionale per la prevenzione e il contrasto della violenza alle donne istituito presso la Giunta regionale (legge n.119/2013 e legge regionale n.20 del 2007), che vede presenti i centri antiviolenza e che rappresenta, prima ancora dell’Osservatorio, il luogo dove discutere, confrontarsi e progettare sul tema.

Ci spiace ribadire che, sulla poca collaborazione che risulta tra il Consiglio regionale e la Giunta calabrese, si giochi la vita delle donne sul tema della violenza di genere.

Concludiamo con una proposta: adottare piuttosto un centro antiviolenza, un’operatrice di accoglienza che quotidianamente sta al fianco delle donne sostenendole per ricostruirsi la vita, o ancora una fondatrice di un centro antiviolenza che ha reso possibile che della violenza si parlasse in uno dei tanti borghi sperduti dei nostri territori.

Noi siamo qui, disponibili a collaborare nell’ottica della celebrazione della vita, della forza delle donne, e non del fallimento delle forze dell’ordine, della giustizia e delle istituzioni tutte di cui i femminicidi sono la dolorosa testimonianza.

Antonella Veltri e Lella Palladino

 

La nota indirizzata a D.i.Re dal Dr. Mario Nasone – 30 luglio 2019 

Femminicidi in Calabria, un progetto sperimentale nelle scuole.

Riguardo il progetto “Adotta la storia di una vittima di femminicidio” promosso dall’Osservatorio regionale sulla violenza di genere del Consiglio regionale della Calabria, di concerto con il Miur, Ufficio scolastico ambito territoriale di Reggio Calabria, la nota da voi pubblicata sul vostro sito contiene notizie destituite di fondamento, frutto sicuramente di disinformazione  di chi non ha nemmeno letto il testo dell’accordo. Assieme a questo sono state avanzate osservazioni, opinabili, ma legittime. Proverò a rispondere per punti.

Finanziamento. L’affermazione che per questa iniziativa siano stati previsti fondi pubblici, addirittura sottratti ai centri anti violenza è completamente falsa. Tutto il percorso è a costo zero per il consiglio regionale, così come non sono previsti per il funzionamento dell’osservatorio gettoni di presenza e nemmeno rimborsi spese per i suoi componenti, alcuni dei quali risiedono in altre province rispetto alla sede del Consiglio regionale ubicata a Reggio Calabria. Tutto il lavoro svolto, anche per questa iniziativa, dai componenti dell’osservatorio è completamente gratuito e mosso da spirito di servizio per questa causa importante di contrasto alla violenza di genere.

Centri anti violenza. L’osservatorio nel suo anno  di attività ha da subito, a partire dalla conferenza regionale sulla violenza di genere del 2018 (la prima mai realizzata in Calabria e che ha visto la qualificata partecipazione di referenti della rete D.i.re) ha denunciato più volte sulla stampa  la situazione di precarietà dei CAV, ha chiesto audizione alla terza commissione per sollecitare l’approvazione di un nuovo legge per potenziare i cav e creare un sistema di prevenzione e protezione adeguato. Sul progetto in questione nel mese di gennaio tutti i cav. della Calabria sono stati informati dell’iniziativa, alcuni hanno aderito, nessuno ha fatto obiezioni e rilievi.

Utilità del progetto Il progetto è la naturale continuazione della iniziativa dell’osservatorio  di attivare all’interno del consiglio regionale la stanza della memoria e dell’impegno per le vittime di femminicidio in Calabria, uno spazio  che ha raccolto 50 storie di donne uccise. Sala intitolata a Mary Cirillo, una donna di Monasterace vittima di femminicidio che ha lasciato quattro figli orfani e che viene visitata assieme ad altri spazi del consiglio regionale da circa 5.000 studenti l’anno provenienti da scuole di tutta la Calabria, accompagnati da docenti che gli fanno da tutor. Un’esperienza positiva che ha spinto l’osservatorio a fare un passo avanti proponendo all’ufficio scolastico questa iniziativa all’interno delle scuole del territorio reggino come prima sperimentazione da estendere poi a livello regionale. Iniziative simili di memoria delle vittime della violenza di genere vengono fatte da anni da molti organismi, compresa la Rete D.i.re, in questo caso si è voluto proporre alle scuole che sono libere di aderire o meno al percorso, di individuare assieme ai ragazzi una storia, conoscerla, approfondirla, RI-raccontarla e alla fine scegliere di intitolare alla vittima  un’aula, o uno spazio della scuola come segno di una presenza visibile e costante all’interno della comunità. Così come si può evincere dalla lettura dell’accordo i protagonisti saranno i ragazzi e gli insegnanti che attraverso attività formative e con il supporto di esperti, di familiari di vittime di femminicidio potranno aiutare i ragazzi a leggere la storia prescelta ed a trarre indicazioni per il loro percorso formativo. Anche le scuole elementari lo potranno fare se gli insegnanti riteranno di essere attrezzati e preparati per questo tipo di esperienza didattica. L’adesione del Miur, della Questura, dell’associazione Libera, a breve quella del comando provinciale dei carabinieri, l’interesse di molte scuole,  l’apprezzamento della presidente della Commissione parlamentare sui femminicidi Valeria Valente (alla quale è stato chiesto di offrire suggerimenti per un suo miglioramento) ma soprattutto il consenso convinto dei familiare di donne vittime di femminicidio  sono state un incoraggiamento ad avviare questo lavoro che come ha detto una di loro può rappresentare una vera e propria rivoluzione culturale  nel nostro territorio. Come osservatorio ci saremmo aspettati richieste di chiarimenti, di modifiche, non certamente un vero e proprio attacco a prescindere verso una iniziativa promossa da persone che da decenni si spendono per questa causa e che avrebbero meritato maggiore rispetto. Nessuno in generale, ed anche su questi argomenti delicati e complessi, può pensare di avere la verità in tasca, anche noi dell’osservatorio procederemo alle valutazioni del caso disponibili ad accogliere i suggerimenti che possono aggiustare il tiro.

Cordialità,

Mario Nasone, coordinatore Osservatorio regionale violenza di genere 

 

Il comunicato stampa di D.i.Re – 26 luglio 2019

D.i.Re. L’Osservatorio sulla violenza di genere della Regione Calabria invita le scuole ad ‘adottare la storia di una vittima di femminicidio’. Le storie delle donne non si adottano.

‘Adotta la storia di una vittima di femminicidio’. Con questo titolo la Regione Calabria si appresta a sottoscrivere un accordo di collaborazione tra l’ Osservatorio sulla violenza di genere (ex L. R. n.38 del 23 novembre 2016) e il MIUR, alla presenza del Presidente del Consiglio regionale della Calabria, il prossimo 30 luglio.

“Compito delle istituzioni è quello di sostenere chi ce la fa ed evitare e prevenire il fenomeno. Adottare la storia di una donna vittima di femminicidio a che serve? Quale messaggio si vuole dare? A cosa educa? Che formazione? Mentre i Centri antiviolenza sono in affanno, aspettando fondi per sostenere e aiutare le donne a uscire dalla violenza, il Consiglio regionale delle Calabria promuove l’adozione della storia di chi non ce l’ha fatta”, commenta Antonella Veltri, vice presidente di D.i.Re – Donne in rete contro la violenza, e attivista del Centro Roberta Lanzino di Cosenza, “senza nemmeno pensare che la loro morte è spesso imputabile al fallimento delle istituzioni nel proteggere donne che hanno denunciato la violenza”.

Il percorso didattico-formativo ‘Adotta la storia di una vittima di femminicidio’ promosso dall’Osservatorio regionale sulla violenza di genere con il MIUR dovrebbe coinvolgere gli istituti di ogni ordine e grado per l’anno scolastico 2019/2020, “un’altra aberrazione della proposta: dovrebbero adottare una vittima di femminicidio anche bambini/e delle elementari?” si chiede Veltri.

“Riteniamo che i soldi pubblici per la formazione e la prevenzione del fenomeno della violenza alle donne debbano essere indirizzati non a veicolare vicende di cronaca spesso già ampiamente trattate dalla stampa, di fatto rivittimizzando le donne che subiscono violenza enfatizzando addirittura l’adozione di chi risulta vittima e soccombe”, conclude la vice presidente di D.i.Re.

Sostengono e aderiscono: Coordinamento centri antiviolenza Regione Calabria (CADIC), UDI Calabria, Centro antiviolenza comune di Paterno Calabro

* L’immagine scelta per illustrare questo post è di Anarkikka.