Perché i Centri antiviolenza sono scesi in piazza: il decreto voluto dal governo non lo vogliamo

Criteri selettivi che riconoscano la qualità del lavoro dei centri antiviolenza come luoghi di sapere costruiti in oltre un ventennio, esperienza e capacità di realizzare progetti innovativi per contrastare la violenza maschile contro le donne: queste le richieste che D.i.Re ha avanzato durante la giornata di protesta del 10 luglio scorso a Roma.

La giornata di mobilitazione si è svolta in una partecipata conferenza stampa alla Camera dei Deputati e nel presidio dei Centri antiviolenza provenienti da tutta Italia, davanti alla sede della Conferenza Stato Regioni.

In una affollata sala stampa della Camera dei Deputati alla presenza dell’On. Celeste Costantino e di altre parlamentari, Titti Carrano, presidente D.i.Re e nove donne in rappresentanza dei Centri antiviolenza hanno reso evidenti le ragioni per cui i criteri di riparto, decisi in Conferenza Stato Regioni, non sono accettabili. Secondo D.i.Re questi criteri penalizzano le competenze dei Centri Antiviolenza e legittimano luoghi che si occupano di problematiche distanti dalla violenza, solo al fine di accedere a fondi già assolutamente inadeguati.

E’ stato ribadito che motivi di poca chiarezza risiedono già nella legge 119/2013, la così detta legge sul femminicidio, che non indica i criteri qualitativi che distinguono e caratterizzano i centri antiviolenza; lacuna che ha portato le Regioni ad includere nella mappatura dei centri antiviolenza anche  luoghi privi di competenze.

 Voce unanime in conferenza stampa la necessità di evitare di somministrare finanziamenti a pioggia e distribuire risorse senza tenere conto dei bisogni delle donne e delle esperienze maturate dai Centri antiviolenza. D.i.Re ha messo in evidenza il rischio che le donne possano ricevere risposte inadeguate o subìre vittimizzazione secondaria da risposte non adeguate fornite.  Il presidio ha creato le condizioni perché una delegazione di donne venisse ricevuta dalla Ministra per i rapporti con le Regioni, Lanzetta, che ha preso l’impegno di prescrivere alle Regioni modalità di utilizzo dei fondi e di rivedere la mappatura dei centri antiviolenza.

La mobilitazione non è finita: D.i.Re sarà presente in tutti luoghi decisionali della politica per ribadire la propria posizione e per evitare che 20 anni di esperienze si perdano soprattutto a svantaggio delle donne che subiscono violenza.

D.i.Re  ribadisce che il decreto di riparto venga rivisto e riafferma la necessità di riprendere il lavoro delle task force ministeriale proposto dal DPO anche al fine di redigere il piano nazionale contro la violenza alle donne.

Questo governo che ha approvato la Convenzione di Istanbul non può non tenere in considerazione, dando il giusto riconoscimento alle associazioni di donne esperte sul tema.

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