La Convenzione di Istanbul siamo noi. D.i.Re celebra il 10° anniversario

COMUNICATO STAMPA

 

La Convenzione di Istanbul siamo noi

D.i.Re celebra il 10° anniversario della Convenzione sulla violenza contro le donne

Il 27 giugno del 2013 l’Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, approvata dal Consiglio d’Europa 2 anni prima, e di cui quest’anno si celebra il decimo anniversario e in questa occasione lancia il video “La Convenzione di Istanbul siamo noi”.

Entrata in vigore l’anno successivo, la Convenzione di Istanbul continua a non essere pienamente applicata nel nostro paese, come dimostra il Rapporto sull’Italia del GREVIO, il Gruppo di esperte/i sulla violenza del Consiglio d’Europa, pubblicato a gennaio 2020 e frutto di un monitoraggio durato due anni a cui D.i.Re ha partecipato attivamente, coordinando la produzione del cosiddetto Rapporto ombra per il GREVIO, ovvero il rapporto della società civile.

Con il webinar La Convenzione di Istanbul siamo noi, organizzato da D.i.Re il 17 giugno, che ha visto oltre 400 partecipanti, “abbiamo voluto mettere al centro proprio il grande contributo che l’attivismo femminista ha saputo portare dentro le istituzioni fin dal momento della stesura del testo, che proprio per questo si è rivelato così innovativo e insieme così concreto, e poi in ogni fase del successivo cammino della Convenzione, fino alle sfide che oggi si presentano nel mutato scenario politico, in cui siamo chiamate a vigilare su continui tentativi di indebolire la Convenzione, anche semplicemente non applicandola nonostante sia ormai da 8 anni legge dello Stato come succede in Italia”, ha affermato la presidente di D.i.Re Antonella Veltri.

“La Convenzione di Istanbul ha riconosciuto la violenza contro le donne come fenomeno radicato nella società, nelle interazioni tra uomini e donne, in tutti i paesi del Consiglio d’Europa, per cui andava affrontata con un approccio omogeneo”, ha sottolineato Ayşe Feride Acar, esperta turca della Middle East Technical University Ankara e prima presidente del GREVIO, dopo aver presieduto anche il Comitato CEDAW incaricato del monitoraggio della Convenzione delle Nazioni Unite per l’eliminazione di ogni forma di violenza contro le donne. “Inoltre per la prima volta una Convenzione impone ai governi di istituire politiche integrate, perché questo fenomeno non può essere affrontato come questione individuale di singole coppie, famiglie o uomini con problemi di alcoolismo. È un problema sociale che richiede un impegno delle istituzioni e adeguate risorse”.

“La presenza di tante esperte che venivano dalla società civile e avevano una conoscenza diretta e concreta della violenza maschile contro le donne è stata essenziale per la formulazione del testo”, ha evidenziato Rosa Logar, direttrice del Domestic Abuse Intervention Center Vienna, già vice-presidente GREVIO, ha rappresentato il governo austriaco nel Comitato che ha redatto il testo della Convenzione, proprio come Acar ha rappresentato il governo turco, “e anche per riuscire a superare i momenti di difficoltà trovando le mediazioni giuste tra orientamenti politici diversi, fino ad arrivare all’approvazione della Convenzione schivando il controllo dei ‘guardiani del patriarcato’ che si sono risvegliati dopo, come confermano gli attacchi alla Convenzione a cui assistiamo oggi”.

“La Convenzione di Istanbul ha avuto il pregio di stabilire in un documento vincolante dal punto di vista legale il legame che c’è tra violenza maschile contro le donne e discriminazione contro le donne, fondando tale visione sul rispetto dei diritti umani. Questo fa della Convenzione di Istanbul uno strumento unico nel suo genere, e di grande ispirazione ancora oggi in tanti contesti”, ha sottolineato a sua volta Acar.

“Le organizzazioni della società civile hanno avuto e continuano ad avere un ruolo cruciale”, ha riconosciuto Biljana Branković , esperta ricercatrice e consulente internazionale di origine serba e attuale componente del GREVIO. “Ma dobbiamo creare più alleanze a livello europeo, perché ho la sensazione che le donne in Polonia, Ungheria, Turchia si sentano sempre più isolate. Inoltre nei paesi dove la Convenzione non è stata ancora ratificata, anche governi che sarebbero favorevoli alla ratifica non si espongono perché temono le reazioni dell’opinione pubblica contraria, sostenuta da autorità religiose, di qualsiasi religione, che hanno posizioni uniformi quando si tratta di questioni di genere”.

In Turchia, “l’assurda decisione del presidente Erdogan di uscire dalla Convenzione di Istanbul ha portato a grandi proteste delle donne in tutte le città e a uno straordinario lavoro per far conoscere la Convenzione di Istanbul, al punto che recenti sondaggi ci dicono che oltre il 70 per cento della popolazione oggi sa di cosa si tratta e ritiene che la Turchia debba restarne parte”, ha raccontato Acar.

“In altri paesi che pure non l’hanno ratificata vediamo che è utilizzata come base per la definizioni di misure a livello locale, sulla spinta ancora una volta delle organizzazioni di donne”, ha sottolineato Marcella Pirrone, avvocata di D.i.Re e presidente di WAVE, Women Against Violence Europe, la rete europea dei centri antiviolenza, che ha moderato l’incontro.

“Cresce anche l’interesse attivo di paesi che pur non facendo parte del Consiglio d’Europa intendono aderirvi, un segnale molto incoraggiante, che potrebbe portare nel tempo a fare della Convenzione di Istanbul uno strumento con valore universale”, ha aggiunto Brankovic, “a fronte di decisioni preoccupanti, come quelle dell’Ungheria con la recente legge contro il movimento LGBTQ e della Polonia”.

“Occorre però che l’Unione europea, le fondazioni private, tutte le istituzioni sostengano attivamente le organizzazioni delle donne, come chiede d’altronde di fare la Convenzione di Istanbul, perché la politica non può continuare a pretendere che sia la società civile a farsi carico delle lotte per affermare i diritti umani basandosi solo sul volontariato”, raccomanda Rosa Logar.

“L’impianto della Convenzione di Istanbul, con il suo forte radicamento nella prospettiva dei diritti umani è molto importante, aiuta le donne, perché oggi in molti paesi è difficile contestare i diritti umani proprio per il quadro di norme internazionali e nazionali che è stato costruito nel tempo”, ha detto Paola Degani, esperta e ricercatrice del Centro diritti umani dell’Università di Padova, che ha collaborato anche con il GREVIO e con numerosi centri antiviolenza. “Non dobbiamo dimenticare quanto le donne abbiano contribuito a modificare la prospettiva dei diritti umani universali, radicandola su un terreno concreto, portando nei trattati il tema del potere, infrangendo la divisione tra pubblico e privato e stabilendo il cardine della due diligence, ovvero l’obbligo per gli Stati di intervenire per assicurare il rispetto dei diritti umani”.

In Italia “il movimento delle donne e i centri antiviolenza si sono impegnati tantissimo perché la violenza contro le donne diventasse visibile. Ma oggi, proprio per questo, vediamo che chiunque, senza alcuna conoscenza e competenza, interviene sulla questione, con una progressiva delegittimazione dei centri antiviolenza che si vede anche, molto concretamente, nella formulazione dei bandi destinati a sostenere i centri antiviolenza, a cui può accedere chiunque”, denuncia Oria Gargano, presidente di Be Free, cooperativa sociale contro tratta, violenze, discriminazioni.

Anche Elena Biaggioni, avvocata penalista e referente del Gruppo avvocate di D.i.Re, ha sottolineato “la difficoltà a riconoscere le competenze in materia di violenza, laddove i centri antiviolenza anziché essere considerati luoghi di eccellenza dove la violenza viene affrontata nel modo corretto, vengono considerati come ‘di parte’ e questo mina l’autorevolezza dei centri. Eppure un ginecologo non viene considerato ‘di parte’ perché si occupa solo di una parte del corpo”.

Per Gargano, “Fare interventi gender neutral è non solo sbagliato, ma criminale, perché si ricacciano le donne nella sfera familistica nella quale stanno soffocando e insieme a loro i loro bambini, che vengono allontanati a forza dalle madri dai tribunali come abbiamo visto accadere in questi giorni”.

“Il problema è il riconoscimento stesso della violenza nelle aule dei tribunali”, ha detto Titti Carrano, avvocata civilista e già presidente di D.i.Re, a cui si devono due importanti sentenze di condanna dell’Italia da parte del Consiglio d’Europa, quella sul caso Talpis e quella recente relativa allo stupro di gruppo di Firenze, che ha riconosciuto la vittimizzazione secondaria che avviene nei tribunali. “La Convenzione di Istanbul è uno strumento potente per il cambiamento e dal 2016 le sezioni unite della Cassazione ci ricordano che essa è vincolante per il nostro paese. Ma prevedere dei diritti senza favorire l’accesso alla giustizia ha come risultato di non rendere effettive le garanzie previste dalle leggi”, ha sottolineato Carrano, notando che “ci sono ancora tantissimi ostacoli per cui le donne non hanno un libero accesso alla giustizia. Essere credute nei tribunali diventa una impresa incredibile, per la scarsa preparazione degli operatori di giustizia sulla violenza maschile contro le donne e l’incidenza del substrato culturale italiano caratterizzato da profondi stereotipi e pregiudizi nei confronti delle donne”.

Unanime il richiamo alla necessità urgente della formazione sulla Convenzione di Istanbul per tutti/e coloro che intervengono sulla violenza contro le donne, da realizzarsi con risorse adeguate e dedicate, “non come nel Codice Rosso, dove è prevista sì la formazione, ma senza risorse”, ha denunciato Carrano.

La Convenzione di Istanbul siamo noi, ma oggi c’è bisogno di un ‘noi’ più grande, un ‘noi’ composito, multidisciplinare, fatto di istituzioni e società civile, di giovani, di donne e di uomini, che attui davvero tutti i cambiamenti necessari per realizzare pienamente la Convenzione di Istanbul”, ha detto in conclusione la presidente di D.i.Re Antonella Veltri.

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