Comunicato di D.i.Re sulla sentenza di Torino

La notizia che il tribunale di Torino ha assolto in primo grado un uomo accusato di violenza sessuale perché la vittima non ha gridato ma ha detto “No” e “Basta” ci riempie di angoscia.

Noi sappiamo che la reazione alla violenza non è uguale per tutte. Ognuna ha una reazione personale. Molte restano impietrite, annichilite dalla paura, dalla vergogna e dallo choc. Se per ottenere una condanna è necessario urlare, portare sul corpo gravi ed evidenti segni di violenza, tantissime, troppe non otterranno mai giustizia. Questa donna in particolare viene ora accusata di calunnia, perché secondo la giudice “il fatto non sussiste”, e la sua versione dei fatti non sarebbe verosimile. Il suo profilo psicologico e il passato segnato dagli abusi da parte del padre hanno giocato contro di lei invece che a suo favore, soprattutto quando ha dichiarato che l’imputato le ricordava il padre per freddezza e brutalità. Intorno a lei moltissima solidarietà dai colleghi della Croce Rossa, dove sia lei che l’accusato lavoravano. La moglie dell’imputato, che ora sta divorziando da lui, la ha soccorsa quando è svenuta in aula dopo la sentenza.

Leggiamo sulla 27esimaora che, nella sua sofferta testimonianza, la donna “non riferisce di sensazioni o condotte molto spesso riscontrabili in racconti di abuso sessuale, sensazioni di sporco, test di gravidanza, dolori in qualche parte del corpo”. Lei ha detto che davanti alla brutalità e alla forza fisica si blocca ed è incapace di reagire. Lei ha solo detto di no, e poi non è stata in grado di confidarsi con nessuno. Ora dichiara che “non denuncerebbe più”, e se questo è comprensibile è anche inaccettabile che una donna attraversi un’esperienza così amara quando si rivolge alla magistratura.

Nell’assoluto rispetto della magistratura, non possiamo che esprimerle la solidarietà della Rete Nazionale dei Centri Antiviolenza e invitarla, se vuole, a rivolgersi a uno dei Centri della sua città dove sarà creduta, dove troverà ascolto, sostegno e solidarietà. Noi siamo certe che dire di no, anche con un filo di voce, deve essere sufficiente a fermare un uomo. Deve cambiare la cultura che ancora sopravvive nel nostro paese per la quale la vittima si trasforma in accusata.

Roma 23 marzo 2017

 

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