Scuola di politica –Darsi Parola

La politica dei Centri Antiviolenza D.i.Re

Terzo Seminario, L’Aquila 17, 18 e 19 giugno 2016

GRUPPO 1

Centri antiviolenza: spazi di elaborazione femminista, formazione e trasmissione dei nostri saperi

Traccia di lavoro e discussione a cura di:

Alice degli Innocenti

Antonella Veltri

Doriana Gagliardone

Imma Tromba

Aleksandra Milosevic

Simona Polla

 

1 – Sono trascorsi circa 25 anni dalla nascita dei primi Centri antiviolenza in Italia; nati sotto la forma di collettivi, movimenti e gruppi informali, oggi molti Centri “storici”, fondatori della Rete Nazionale, hanno cambiato la loro forma associativa dotandosi di una natura giuridica. Che si tratti di associazione no-profit, di volontariato, di Promozione Sociale, Cooperativa, o altro ancora, la natura giuridica dei nostri luoghi storici del femminismo potrebbe svelarci la direzione di un cambiamento della rete e del movimento. La trasformazione, se vi è stata, è stata anche frutto dell’ingresso delle generazioni successive?

La forma giuridica è anche sostanza perché influisce sull’organizzazione e sui livelli di partecipazione e di decisione di chi ne fa parte. Qual è il livello della democrazia interno ai Centri Antiviolenza? Quanto viene garantita attualmente la partecipazione alle decisioni di tutte le socie, vecchie e giovani?

2 – La profonda mutazione culturale e sociale avvenuta negli ultimi decenni ha determinato un contesto politico attuale aideologico e astorico con un crescente orientamento scientifico e tecnologico incapace di produrre significati di carattere generale. Il femminismo, di conseguenza è stato relegato ad un ambito storico oramai passato e privo di significato se non addirittura dannoso per la libertà delle donne. Nonostante ciò, molte donne continuano ad avvicinarsi ai Centri Antiviolenza per incontrare e conoscere il femminismo, esperienza storicamente loro negata. Fare un’analisi delle motivazioni che hanno mosso e muovono le giovani donne verso i Centri Antiviolenza può essere utile a comprendere i tratti di continuità, politici e ideologici, che ancora sussistono rispetto alla nascita dei centri stessi. Obiettivo è quello di far emergere i cambiamenti interni che sono venuti a verificarsi a partire dalle stesse donne che si avvicinano ai centri.

La domanda è: “Come vivono le giovani i Centri Antiviolenza: luoghi di lavoro, luoghi dove aiutare gli altri? Fare esperienza di volontariato? Quante invece si sono avvicinate in quanto luoghi non neutri, di cambiamento dove prendere parola e dove vedono riflessi i propri ideali?

Se facessimo una mappatura degli ingressi sulla base dell’età, delle professionalità, delle esperienze e dei desideri delle nuove donne si sono avvicinate ai centri che cosa scopriremmo? Quante ingegnere, quante biologhe, quante avvocate e psicologhe?

3 – Roma, 21 gennaio 2006 : Carta della Rete Nazionale dei Centri antiviolenza e delle Case delle donne. A dieci anni e oltre, cosa è cambiato? La metodologia di accoglienza, basata sulla relazione tra donne, con un “rimando positivo del proprio sesso/genere”, richiede riconoscimento di competenze, professionalità e valore femminile. Troppo spesso si tratta di un principio che viene fatto valere nella relazione con le donne accolte, ma non tra le operatrici, soprattutto se appartengono alle generazioni successive ai movimenti storici del femminismo. Le relazioni tra “vecchie” e “giovani” sono difficili e spesso caratterizzate dall’esclusione e dal pregiudizio, aspetti che, agli occhi delle nuove, rendono molto contraddittorio e confuso il progetto politico dei centri.

Di conseguenza, nell’esplicitare la metodologia di accoglienza quanto siamo capaci di avvicinare e di costruire relazioni positive e di reciprocità con le giovani donne che si accostano a noi? Tra desiderio di autonomia e dipendenza come costruiamo il rapporto tra vecchie e giovani generazioni? Quanto siamo cresciute nella solidarietà intergenerazionale?

4 – Lotte femministe internazionali: quotidianamente dai media apprendiamo di donne che si sacrificano, combattono per affermare i propri diritti.

Guardare ai movimenti di liberazione di donne in paesi dove l’oppressione è estrema, potrebbe riportarci alla politica della disubbidienza? Essere femminista è ancora una condizione necessaria per operare in un Centro Antiviolenza? Nelle formazioni interne quanto tempo viene dedicato allo studio del femminismo?