Anna Petrungaro*

L’ultimo libro di Paola Tabet (Ediesse, 2014) è la rielaborazione documentata di una serie di ricerche che l’etnologa, antropologa e femminista, svolge da diversi anni. Il libro è stato pubblicato nella collana Collana Sessismoerazzismo che dà spazio ad approcci femministi diversi, legati ai temi del sessismo, del razzismo, della postcolonialità e del lesbismo. Questo lavoro è stato anticipato da La Grande beffa–sessualità delle donne scambio sessuo-economico del 2004. Nonostante la Tabet abbia insegnato a Siena e all’Università della Calabria le sue ricerche hanno trovato poca divulgazione, sia nell’ambito accademico che in quello politico femminista. La sua analisi femminista e materialista del dominio maschile sulle donne trova spazio attorno al gruppo della rivista Questions féministes che focalizza l’attenzione sui rapporti materiali tra uomini e donne, sulla deriva simbolica che presenta e legittima i rapporti dominio come rapporti naturali.

Già ne La Grande Beffa veniva analizzata l’asimmetria dello scambio sessuo-economico, che non si configura mai come reciproco, fra uomini e donne. E’ uno scambio che presuppone un pagamento in cambio di una prestazione, che può avere svariate forme (doni, compensi in denaro, posto di lavoro, carriera, status sociale, nome) e trasforma in servizio la sessualità. Sin dal 1975 le ricerche della Tabet si concentrano sui rapporti sociali tra i sessi, sulla dominazione maschile e sui mezzi con cui questo dominio si costruisce e si conserva nelle società che conosciamo, da quelle più semplici, le società di caccia e raccolta, fino alle società capitalistiche attuali. Le domande che l’autrice si pone riguardano la gestione sociale della sessualità e della riproduzione, il rapporto tra divisione sessuale del lavoro e accesso diseguale alle risorse e alle tecnologie proprie di ciascuna società e gli effetti di ciò sulla vita delle donne. “Come è che anche nelle condizioni economiche peggiori gli uomini si possono pagare servizi sessuali, e le donne invece non solo non si possono pagare servizi sessuali, ma non hanno neppure diritto alla propria sessualità?”

La tesi centrale del libro mira a dimostrare quanto ampi e diffusi siano i confini, reali e concettuali, di questo scambio sessuo-economico che connota l’insieme di quei rapporti tra uomini e donne che implicano una transazione economica: “Una beffa gigantesca – sostiene la Tabet – basata sul più complesso, solido e duraturo rapporto di classe della storia umana, quello tra uomini e donne. Una beffa in atto ancora oggi”. Il suo sforzo consiste nel mostrare che “non vi è un’opposizione binaria tra matrimonio e prostituzione, ma piuttosto una serie complessa di relazioni differenti, che vi è un continuum, cioè una serie variabili di elementi comuni alle diverse relazioni……”. Un continuum che va dai rapporti matrimoniali fino alle forme più comuni e attuali di prostituzione, Questo è riscontrabile non solo nelle società africane o extraeuropee ma anche in Europa e Nord America. Tuttavia vi sono ancora molte reticenze, soprattutto nelle società occidentali, a soffermarsi sullo ‘scambio’ all’interno delle relazioni ritenute legittime. Queste ultime, in sostanza, somigliano alle pratiche di prostituzione che prevedono uno scambio di sesso e denaro.

La divisione tra ‘donne per bene’, cioè madri e mogli, e prostitute sarebbe artificiosa se si considera la natura dello scambio che regge entrambe. Ciò che è interessante è l’individuazione della complementarietà tra i due tipi di relazione, attraverso cui si disegnano, ad ogni latitudine, temporale e geografica, i tratti della fondazione e della persistenza del dominio maschile. Pur riconoscendo che in alcune società occidentali vi sia una partecipazione maggiore dei maschi ai lavori domestici l’autrice sottolinea la persistenza di tratti omofobici e patriarcali. Il libro è ricco di esempi, di interviste, narrazioni di esperienze di sottomissione e soggiogamento all’obbedienza, presenti in molti Stati, gruppi sociali, popolazioni che appartengono al passato come al presente: taglio delle dita, stupri di gruppo, tizzoni ardenti infilati tra le gambe, privazione di acqua e cibo. Il titolo si riferisce ad una pratica adottata in Nuova Guinea tra i Dagum Dani. Si tratta dell’amputazione delle dita delle bambine offerte come donazione in occasione di cerimonie funebri. Si possono tagliare tutte le dita tranne il pollice e una o due dita ritenute sufficienti per svolgere i lavori che le donne sono chiamate a svolgere.

Le dita tagliate sono assunte a simbolo di un’ amputazione delle donne dovuta all’esistenza del rapporto di classe tra uomini e donne. In una lunga intervista in appendice al libro Mathieu Trachman conversa con la Tabet che spiega come l’epidemia di Aids abbia reso la sessualità un soggetto di ricerca possibile mentre prima, anche nelle università americane, veniva ritenuto sconveniente e vivamente sconsigliato. Oggi, sostiene la Tabet, in tante società, comprese le occidentali vediamo pratiche di resistenza al dominio maschile e all’oppressione eterosessuale. Ricorda le parole di Pieke Bierman in Tatafiore 1984: “La posizione della lesbica e della prostituta è uno dei più alti urli delle donne contro la società sessista. E’ un no alla sessualità obbligata… Il loro urlo parla da solo…”.

Sul versante dei femminismi italiani, orientati in larga parte, a livello politico e culturale, dalla teoria della differenza sessuale, la diffusione e attenzione per altre riflessioni femministe, lesbiche, queer e trans contribuisce alla comprensione dei meccanismi di produzione-riproduzione dei rapporti tra i sessi dentro le logiche del capitalismo neoliberista. Le Dita tagliate va in questa direzione con la forza della ricerca, dell’analisi e la caparbietà della tensione ideale che trasporta ogni desiderio di cambiamento.

*Centro contro la violenza alle donne Roberta Lanzino, Cosenza