I fatti di Colonia impongono una seria riflessione su più fronti, aperta alla complessità e capace di considerare le diverse intersezioni che rendono quanto avvenuto nella città tedesca un evento particolarmente significativo di cui è opportuno parlare con cautela. Ci sono voluti molti giorni perché gli avvenimenti di Colonia fossero resi pubblici, e anche di più perché i contorni di quello che è realmente accaduto si delineassero. Si è trattato di una azione organizzata – così almeno dicono la polizia tedesca e il Ministro degli Interni tedesco – cui le forze dell’ordine non hanno saputo o voluto reagire né fare fronte. Le prime donne che hanno denunciato erano 18, ora sono oltre 700 a ennesima prova del fatto che le donne si danno forza fra loro, e che l’azione di una autorizza e incoraggia tutte le altre.

Quello che noi leggiamo con chiarezza è che ancora una volta, nel momento di grande crisi economica e sociale che attraversa l’Europa è il corpo delle donne a diventare teatro di scontro, oggetto di contesa tra diverse appropriazioni e occasione per promuovere l’avanzamento di ipocrite politiche securitarie e fasciste. Se da una parte assistiamo ad un grave tentativo di compressione delle libertà femminili, dall’altro constatiamo l’utilizzo strumentale di quanto accaduto da parte di coloro che caldeggiano posizioni politiche tutte spostate sulla paura e l’esclusione “dell’altro da se”, in un’ottica di mancata accoglienza e chiusura di frontiere. Quindi per quanto sia ineludibile una ferma condanna delle aggressioni sessuali è altrettanto ineludibile la necessità di riflettere sull’atteggiamento paternalistico e patriarcale di quanti in una finta ottica di “tutela e protezione” trasformano le donne da soggetti di diritto in “beni” da difendere. Attacco e Protezione appaiono dunque ai nostri occhi atteggiamenti parimenti sessisti che delimitano gli spazi di pensiero e movimento delle donne.

Come sosteniamo continuamente l’esercizio del dominio e del possesso sulle donne è un dato strutturale e trasversale, che prescinde da etnie e confessioni, e anzi, secondo diverse indagini e studi, cresce in proporzione alle conquiste di libertà e di autonomia femminile. Lo conferma una ricerca dell’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali, dicendoci che sessantadue milioni di donne in Europa (il 33 % della popolazione femminile) hanno subìto violenza. E il record degli abusi va ai Paesi dove i tassi di occupazione femminile risultano più elevati, facendo dunque immaginare una maggiore parità: Danimarca, Finlandia, Svezia e Olanda.

L ‘indignazione da parte di maschi occidentali che hanno manifestato interesse, attraverso espressioni infelici di difesa e possesso, svela e rafforza una costante dimensione di controllo. Del resto, nel rincorrersi dei commenti poche sono state le voci maschili che hanno contribuito parlando di sé, mettendo in discussione il proprio genere, riconoscendo la differenza di potere e la violenza che esercita e nasconde. Ogni altro commento, anche il più solenne e ufficiale, non è stato che il tentativo di strumentalizzare le donne e i fatti, allo scopo di guadagnare immagine e di schierarsi in giochi di politica interna, di sventolare bandiere a favore o contro l’accoglienza di profughi e rifugiati. Il nostro giudizio su quanto è accaduto a Colonia e in altre città tedesche quindi non è certo condizionato dall’idea semplicistica che profughi e immigrati hanno una cultura che considera la donna inferiore e le nega i diritti faticosamente conquistati in Europa.

Nei Centri Antiviolenza tra le tante donne italiane accogliamo anche donne migranti che hanno subito maltrattamenti, che si ribellano e cercano di liberarsi dall’oppressione e dalla violenza dei loro compagni siano essi italiani o connazionali. Forti della nostra esperienza sosteniamo da sempre che “le donne sono un unico popolo e che la violenza è il loro problema” ed anche rispetto ai fatti di Colonia, prendendo le distanze da ogni speculazione razzista, evidenziamo il filo rosso che lega la misoginia nelle diverse culture.